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Voci dal Suq si è spostato su Tgcom24. Questo blog non sarà più aggiornato. Per leggere le mie storie e le curiosità sul mondo arabo andate qui http://vocidalsuq.tgcom24.it/

voci dal suq

@elia_milani

Il rais ha paura, non si fida di nessuno, nemmeno degli uomini della guardia repubblicana che dovrebbero difenderlo da eventuali attentati. Ecco che Bashar al Asad ha deciso di scappare da Damasco: ha radunato la famiglia e gli stretti collaboratori per andare a vivere a bordo di una nave da guerra russa nel Mediterraneo, a largo delle coste del paese. Secondo fonti di intelligence citate dal giornale saudita Al Watan e confermate dal Al Jazeera, Asad ha lasciato il palazzo presidenziale che domina la capitale e si è trasferito su una nuova dimora galleggiante.

La famiglia Assad in vacanza a Lattakia

La famiglia Asad in vacanza a Lattakia

Il rais utilizza un elicottero per spostarsi a Damasco solo quando deve presentarsi al Palazzo del Popolo per appuntamenti improrogabili. La nuova casa è stata scelta dal presidente per due semplici motivi. Primo: il rais non si fida più di nessuno dopo che anche il cordone di sicurezza attorno a lui si è dimostrato debole alla penetrazione di esterni antagonisti del regime (come ha dimostrato l’attentato nel cuore di Damasco dell’estate scorsa). Secondo: vivere lontano dalla capitale renderebbe più facile una sua eventuale uscita di scena nel caso in cui i ribelli riuscissero a prevalere anche a Damasco.

In tutto questa vicenda il peso di Mosca è fondamentale. Sembra che la Russia, dopo la gentile ospitalità, stia per concedere l’asilo politico ad Asad ma solo come ultimo estremo gesto. Mosca non vuole l’uscita di scena del prezioso alleato in Medio Oriente e ancora ieri ha auspicato per bocca del ministro degli esteri Sergei Lavrov, un invito al dialogo tra governo e ribelli.

La pietra nera è lì a pochi passi. Vestiti solo del proprio saio bianco privo di nodi i pellegrini iniziano i loro sette giri attorno alla Kaaba. Tutti i musulmani vorrebbero essere alla Mecca in questi giorni. È l’ ʿid al adha, la Festa del sacrificio, avvenimento che cade durante il Dhul Hajj, il mese del pellegrinaggio. In questo mese è un privilegio per pochi andare nella città santa per rendere onore a uno dei cinque pilatri dell’Islam.

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L’Arabia Saudita deve limitare la marea di fedeli desiderosi di pregare nel luogo dove, stando alle scritture, Abramo e il figlio Ismaele ricostruirono la Kaaba edificata per la prima volta da Adamo. Ogni stato può inviare un numero prefissato di persone nella città santa. Le liste sono lunghissime e l’attesa può durare anche anni. Ci sono poi il costo del viaggio e quello degli alberghi non alla portata di tutti. Già le tv satellitari hanno cercato di rendere il luogo santo più vicino ai fedeli con le trasmissioni dei sermoni degli imam. Ma oggi ci sono i fedeli 2.0 e la diretta della preghiera è anche in streaming su You Tube.

Un telefono giocattolo giallo, una tv impolverata e un mucchio di rubinetti usati. Poi un videoregistratore e una stufetta grigia e nera. Qua e là cianfrusaglie, disposte in modo disordinato su un tappeto sporco. Sembra la povera bancarella all’aperto di un suq arabo. In realtà è uno “stand” del mercato degli oggetti rubati di Homs, il suq al masruqaat. Qui è possibile trovare gli oggetti prelevati dalle case distrutte dai colpi di artiglieria dei fedeli di Asad. Qualcuno lo ha soprannominato il “mercato degli sciacalli”, altri non commentano perchè, in questa zona della Siria, per  sopravvivere, si è disposti a fare molto di peggio.

La Moschea degli Omayyadi ad Aleppo

La distruzione di una città nel confronto di due foto.  Ecco com’era la Grande Moschea di Aleppo nel 2011. E cosa ne è rimasto oggi dopo un anno e mezzo di guerra civile.

Alcuni murales cancellati in via Mohammed Mahmoud, Cairo

Quelle facce disegnate sui muri del Cairo erano diventate il simbolo della rivoluzione egiziana. Volti dei martiri di piazza Tahrir, di Mubarak e del generale Tantawi. Una marea colorata che ricopriva piccole pareti e grandi facciate di palazzi. È il caso dei graffiti in via Mohammed Mahmoud.  Quella strada che unisce la piazza più calda del Medio Oriente con l’American University of Cairo era famosa per il suo lungo murales. Un unico messaggio accompagnato da facce, schizzi, scarabocchi, figli della libertà di espressione e del fermento di idee seguito ai giorni del febbraio 2011, quando il popolo delle piramidi cacciò dalla sua poltrona il Faraone Mubarak. Oggi quei volti e quei disegni sono spariti. Così come gli altri murales della capitale.

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Gli imbianchini sono arrivati settimana scorsa di notte, accompagnati da uomini della sicurezza. E hanno cancellato tutto. Quei disegni avevano assistito alle mille battaglie tra i rivoluzionari e la polizia del regime. Ecco perchè la gente del Cairo non accetta in silenzio questa “pulizia” voluta da Morsi. Su twitter è già partita una campagna per ridare un volto a quelle mura. Come dimostra questo video.

http://seanrocha.com/2012/09/19/amazing-mural-mohamed-mahmoud-painted-over/

‘Omran Sha’ban 1990 – 2012

Lo hanno rapito nella zona di Bani Walid poi lo hanno seviziato. I suoi lo hanno ritrovato morente e con l’aiuto dei francesi lo hanno trasportato a Parigi. Lì è deceduto subito dopo il ricovero. Muore così ‘Omran Sha’ban , uno dei guerriglieri protagonisti della cattura e della uccisione di Gheddafi. Era stato lui a scoprire per primo il nascondiglio del Colonnello a Sirte lo scorso ottobre. Il ruolo di leader dei ribelli nella Libia infiammata dalla guerra civile ha fatto di lui un eroe nazionale. E oggi a Misurata, città natale, una folla sterminata è accorsa per celebrare i funerali di questo shahid (martire).

Facile sospettare una vendetta dei miliziani libici ancora fedeli al raiis. Nonostante la caduta del leader della Jamahiriyya questi gruppi sono ancora molto attivi, soprattutto nel sud. Da mesi in quelle zone conducono azioni di guerriglia contribuendo a destabilizzare un paese che sta scivolando lentamente verso il caos più totale.

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Sembra che basti una vignetta per far traballare mille certezze. Il confine tra libertà di parola e islamofobia è più sottile di quanti si immagini. Lo dimostrano gli ultimi disegni di Carlos Latuff, vignettista brasiliano di origini libanesi noto per i suoi bozzetti satirici che si sono attirati le critiche di mezzo mondo.

Nei suoi cartoon Carlos ha sempre attaccato a testa bassa le politiche israeliane in Medio Oriente tanto da meritarsi l’appellativo di novello Drumont, il fondatore della Lega Antisemitica di Francia nel 1889. Nelle ultime publicazioni la sua critica si spinge oltre i confini palestinesi e arriva a coinvolgere tutto l’Occidente accusato di appellarsi in modo arbitrario al concetto di freedom of speech.

I braccialetti dei rivoluzionari siriani

Quando si parla di soldi i cinesi non sono secondi a nessuno. Nemmeno agli arabi. Prendiamo il più noto gadget della rivoluzione siriana,  quei braccialetti bianchi e verdi con tre stelline rosse che compaiono sui polsi dei ragazzi alla guida dei cortei dentro e fuori la Siria. Bene, si tratta di prodotti nati nelle fabbriche cinesi. Niente di strano visto che la maggior parte degli oggetti di plastica viene prodotto nell’estremo oriente. Fa sorridere però che sia proprio la Cina a produrre questi oggetti diventati un simbolo di libertà. Pechino infatti è, insieme alla Russia, lo stato che si è sempre schierato contro i ribelli a fianco del dittatore Asad. Scherzi della globalizzazione.

La tomba di Muharram Turk, Guardiano della Rivoluzione – Tehran

Il cimitero Behesht-e Zahra è il più grande di Tehran. Tra le sue mezzelune, i versetti del Corano c’è una lapide. È di Muharram Turk, un maggiore dei Guardiani della Rivoluzione. Era nato il 30 marzo del 1978 nella capitale iraniana ed è morto “martire” il 19 gennaio 2012 a Damasco. Il suo nome sta circolando nei siti iraniani: non per commemorare la scomparsa di un giovane 34enne ma perchè la sua storia fa luce sui rapporti tra Tehran e la Siria. Muharram è la prova tangibile che l’Iran invia i propri uomini a sostegno del regime di Bashar al Asad. E la sua morte in servizio nella capitale siriana ne è la conferma.

Nel sito Heyat Fatemiun, che segue le gesta dei soldati caduti, si dice che Turk è morto martire colpito da una granata durante un esercitazione. Il suo nome viene poi citato in altri blog iraniani che ricordano come il suo funerale abbia avuto grande seguito a Tehran, soprattutto tra i militari. La foto della Guida Suprema, l’Ayatollah Alì Khamenei, era tenuta alta sopra il suo feretro: questo dimostra che la cerimonia funebre è stata organizzata dalle autorità per commemorare la scomparsa di un militare mentre era in servizio.